Percorso di educazione Psico-Alimentare familiare

Nella società odierna il sovrappeso e l’obesità sono patologie in costante aumento e una buona parte di questa popolazione è rappresentata dai bambini.

Secondo gli ultimi dati 2 bambini su 10 sono in sovrappeso, 1 bambino su 10 è obeso

Il problema principale legato a questa condizione, oltre al disagio psicologico che genera un peso elevato in bambini e adolescenti, è che il 50% degli adolescenti obesi rischia di presentare la stessa patologia anche in età adulta.

Questa situazione di obesità precoce, se protratta, può generare già dalla giovane età diverse problematiche, come:

  • Valori di glicemia elevati che possono configurarsi come pre-diabete e poi diabete.
  • Trigliceridi e colesterolo alti che possono indurre problemi cardiovascolari.
  • Problemi cardiovascolari e ipertensione
  • Steatosi epatica non alcolica
  • Sindrome metabolica
  • Problemi psicologici come: depressione, scarsa autostima etc..

 

Migliorare le abitudini alimentari in famiglia

Il cibo è il primo canale di comunicazione fra il genitore e il figlio; il cibo veicola relazioni ed emozioni che non possono essere ricondotte semplicemente ad un piano alimentare standard. Talvolta alcuni genitori inconsapevolmente tendono a sostituire il ruolo del cibo a quello della relazione, stimolando il bambino o l’adolescente a nutrirsi in modo eccessivo e sregolato.

Le diete restrittive a cui sono sottoposti  talvolta solo i membri più giovani della famiglia, generano  frustrazione nel bambino che difficilmente otterrà  risultati significativi e duraturi nel tempo.

La chiave di volta sta in un trattamento multidisciplinare che prevede un  percorso di educazione alimentare da parte di un biologo Nutrizionista e un supporto psicologico adeguato da parte di una Psicoterapeuta con l’obiettivo di riconoscere le dinamiche familiari che mantengono dei comportamenti alimentari scorretti e un riadattamento delle abitudini alimentari riscoprendo un  approccio al cibo  sano e sereno.

 

Inizia oggi, con la tua famiglia, il percorso:

lo studio medico Mignano/Dellavalle è specializzato nella prevenzione e nel trattamento dell’obesità e dei disturbi del comportamento alimentare.

Il dott. Pietro Mignano, biologo nutrizionista e farmacista ha studiato le ultime strategie per combattere l’obesità presso centri di eccellenza negli USA.

La dott.ssa Dafne Zikos, psicologa clinica e psicoterapeuta ha frequentato diversi corsi sulla Psicologia del Comportamento Alimentare e sulla gestione del Peso Corporeo.

Il trattamento, della durata di 3 mesi,  è organizzato in incontri singoli e di gruppo (nucleo familiare) con i nostri professionisti con lo scopo di ‘scardinare’ cattive abitudini  familiari legate al  cibo adottando uno stile di vita sano.

Dott. Pietro Mignano

 

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Se invece vuoi avere ulteriori informazioni contatta il Dott. Mignano: 065921793 – 065911462 – WhatsApp: 392 698 1453.


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5 consigli (più 1) per non prendere peso a Natale

Le feste natalizie sono, sicuramente, i giorni di festa più attesi dell’anno per bambini ed adulti.

E’ un forte momento di unione e una splendida occasione per passare un pò di tempo serenamente in famiglia e recuperare le energie per affrontare il nuovo anno.

Il natale è sempre accompagnato da pasti abbondanti e deliziosi che, se da un lato rappresentano l’armonia e ‘lo stare insieme’, dall’altro rappresentano un incubo e una sfida per tutti coloro che hanno fatto tanti sacrifici per perdere un pò di peso e ritrovare la linea.

Ogni pasto di Natale conta, almeno, 2-300 kcal per persona e se facciamo 2 pasti al giorno per qualche giorno senza mai praticare attività fisica sarà facilissimo arrivare alla metà di Gennaio con 4 chili di troppo.

Di seguito, quindi, 5 consigli utili per vivere il Natale in serenità senza abbandonare la linea!

 

  • Non esagerare con l’alcool. Per ogni bicchiere di alcool bevine anche uno di acqua. Questo ti aiuterà a non disidratarti e bere meno alcool.

 

 

  • Non arrivare mai affamato al pasto. Prima dei pasti principali è bene fare uno spuntino con un frutto e una manciata di frutta secca (che di solito non manca mai a Natale).

 

 

  • Pianifica i pasti. Durante le feste natalizie pianifica i pasti che vuoi concederti liberamente.

 

Questi ovviamente non dovrebbere essere più di 3 e distanti tra di loro. (Es. 24 sera, 25 pranzo, 31 cena).

 

  • Non spizzicare in modo non programmato. Una volta pianificati i pasti faresti meglio e non lasciarti prendere la mano da torroni o dolcetti tra i pasti (sono calorie extra che fanno ingrassare rapidamente ed aumentano la fame).

 

 

  • Bevi bevande calde. Tra i pasti principali puoi sempre bere una bevanda calda senza zucchero. The, tisane e infusi caldi distendono le pareti gastriche, aumentato il senso di sazietà e l’idratazione. 

 

 

  • (piu 1) Prova il digiuno intermittente. Se hai esagerato con un pasto puoi sempre provare il digiuno intermittente: un digiuno che deve durare dalle 12 alle 16 ore dopo il pasto (compresa la notte) in cui, però, è possibile bere liquidi ma senza zucchero o calorie! Questo permette di consumare le riserve di zucchero da fegato e muscoli e intaccare la massa grassa. Ricorda però: basta mangiare anche solo una mandorla per inattivare i benefici del digiuno intermittente! (per saperne di più leggi l’articolo sul digiuno intermittente) .

 

 

A basso contenuti di grassi… si, ma a caro costo!

La descrizione ‘a basso contenuto di grassi’o ‘0 grassi’ che si trova su molte etichette di alimenti spesso suona fantastica.

Leggere questa descrizione su cibi, a volte, gustosi ci fa stare meglio, sereni e certi che quell’alimento sia salutare e quindi sia giusto comprarlo e consumarlo anche in grandi quantità, tanto è ‘privo di grassi’, no?

Purtroppo il problema è che, molto spesso, i prodotti privati dei grassi possono essere dannosi o non salutari come appaiono, tra questi: lo Yogurt 0% grassi.

Lo yogurt è un alimento frutto della fermentazione del latte, che, naturalmente è ricco di grassi e proteine. Gli stessi grassi sono necessari per il conferimento tipico di sapore e consistenza del latte e, quindi, anche dello yogurt.

Negli ultimi anni i grassi hanno goduto di pessima fama, sono stati additati come i colpevoli di quasi tutte le patologie correlate ad un aumento del peso (ipercolesterolemia, aterosclerosi, ipertensione etc..)

Le industrie alimentari, così, si sono adoperate per levare i grassi dagli alimenti al fine di conferire un aspetto ‘più sano e più appetibile’ ai propri prodotti.

Purtroppo per levare i ‘grassi naturali’ dallo yogurt questi vanno sostituiti con altre fonti che permettano allo yogurt di apparire bello e buono. Infatti sono i grassi che danno sapore e consistenza allo yogurt stesso.

Quando leggiamo ‘0% grassi’ in realtà significa che i grassi naturalmente presenti nello yogurt sono stati sostituiti con prodotti di sintesi attraverso procedimenti industriali.

L’alternativa più spesso usata sono olii idrogenati (prodotti altamente raffinati e potenzialmente dannosi per la nostra salute) provenienti da piante e alberi.

Come se non bastasse i grassi naturali dello yogurt danno sapore. Quindi, levati i grassi, l’azienda alimentare deve trovare un sostituto che abbia buon sapore a buon mercato. Ecco che allo yogurt viene addizionato sale o zucchero.

Se mettete a confronto 2 yogurt della stessa marca: uno ‘normale’ e uno privo di grassi noterete che in etichetta quello ‘magro’ contiene più zuccheri. Sono zuccheri aggiunti, non presenti naturalmente nello yogurt ma addizionati per dare sapore!

Molti yogurt, inoltre, contengono frutta. Nella maggior parte dei casi non si tratta di vera frutta ma di sciroppi e aromi che danno un gusto esotico e ‘indimenticabile’ allo yogurt.

Questi sciroppi sono, anch’essi, pieni di zucchero.

Questo breve articolo non vuole essere complottista e, ovviamente, consumare qualche yogurt ‘magro’ non danneggerà inevitabilmente la salute però è importante informare il consumatore e aiutarlo a districarsi nel caos che genera l’industria alimentare con pubblicità spesso ingannevoli o fuorvianti.

E voi, siete ancora sicuri di scegliere sempre prodotti ‘magri’?

Dieta chetogenica: due secoli di sperimentazioni – Pietro Mignano per la rivista “La Pelle”

La dieta chetogenica, che oggi riscuote molto successo e nel contempo anche molte critiche, è un tipo di alimentazione con origini antichissime che dagli anni ‘90 è stata ‘riscoperta’ in particolare come trattamento per i bambini epilettici e farmaco-resistenti. Nonostante l’esistenza di pareri contrastanti, ci sono alcune evidenze che correlano questo tipo di alimentazione con una riduzione dei sintomi infiammatori. Prima di addentrarci nell’applicazione clinica è necessario fare un passo indietro, rispolverando le origini di questo tipo di dieta, troppo spesso confusa con quella iperproteica. Come è noto si tratta di un’alimentazione a bassissimo contenuto di carboidrati netti (20 gr/die), ad alto contenuto di grassi e moderato contenuto di proteine.

La vulgata vuole che un suo primo abbozzo venne messo a punto da Sir William Banting, un imprenditore di pompe funebri inglese gravemente obeso che provò moltissime diete senza mai aver successo. Insieme al suo medico di base decisero di tentare un nuovo approccio dimagrante che prevedeva un consumo di zuccheri giornaliero bassissimo. Sir Banting ebbe ottimi risultati che decise di registrare giornalmente all’interno di un diario personale che pubblicò in seguito con il titolo: “Letter of Corpulence, adressed to the public “(1863). Fu così che dalla metà dell’800 fino a fine secolo, la dieta chetogenica (non ancora nota sotto questo nome) divenne pian piano popolare e soprattutto iniziò a essere utilizzata da moltissimi specialisti come un valido ed efficace strumento per la cura del diabete di tipo II.

Tuttavia, dagli inizi del ’900, per motivi ancora oggi poco chiari, questo stile alimentare iniziò, nonostante i successi, a essere trascurato e al suo posto nel tentativo di far perdere peso andarono imponendosi diete alimentari a basso o addirittura bassissimo contenuto di grassi. Fino a quando, intorno alla prima metà del ‘900, un famoso cardiologo americano, il Dott. Robert Atkins, trovando per caso fortuito in una biblioteca il manoscritto del Sir William Banting, decise di iniziare una sperimentazione, sulla falsariga dello stile alimentare adottato da Banting, seguendo uno specifico protocollo ad alto contenuto di grassi e bassissimo contenuto di carboidrati.

Lo studio stava dando così origine alla arcinota dieta “Atkins”. Un regime alimentare che andava in assoluto contrasto con quelli prescritti e adottati più frequentemente all’epoca. Comprensibilmente, e per questo motivo, questa dieta fu molto criticata da più scuole di medicina, ma ciò non impedì l’accumularsi di una consistente letteratura scientifica sul tema. In tempi più recenti (1990-2000) la dieta Atkins è stata ripresa e rilanciata da Westman e Yancy, rispettivamente direttore della Duke Lifestyle University (NC, USA) e direttore della Duke Diet And Fitness Center (NC, USA) i quali hanno continuato a sperimentare e scrivere articoli scientifici a riguardo. Pertanto, possiamo certamente affermare che oggi la letteratura sugli effetti della dieta chetogenica nel trattamento del diabete di tipo II, sindrome metabolica e obesità è cospicua e solida e stanno cominciando ad arrivare le prime evidenze scientifiche circa il trattamento di patologie infiammatorie.

Come insegna la patologia generale, la flogosi è un meccanismo di difesa che si manifesta nel nostro organismo per eliminare un fattore esterno nocivo: chimico, fisico o biologico. L’infiammazione locale, scolasticamente, si manifesta con cinque fenomeni clinici conosciuti sin dall’antichità: rubor, tumor, calor, dolor e functio lesa (rossore, gonfiore, calore, dolore e compromissione funzionale della zona colpita). Se si diffonde in maniera sistemica può coinvolgere l’intero organismo e se non trattata correttamente, mirando all’eradicazione della causa, l’infiammazione può diventare cronica creando uno squilibro all’organismo con inevitabili ripercussioni e talvolta forti dolori.

Tra i tipi di infiammazione cronica che si manifestano più comunemente c’è l’artrite, una condizione di origine sconosciuta a carico del sistema muscolo-scheletrico che genera un coinvolgimento del sistema immunitario. Sono tante le infiammazioni croniche cutanee per cui si pensa che la dieta chetogenica possa essere utile ed efficace. Il razionale sta nel fatto che gli zuccheri e i carboidrati, in quanto zuccheri complessi, avrebbero un ruolo di mediatori infiammatori che possono peggiorare le patologie croniche di natura infiammatoria. Inoltre, è stato evidenziato che un’alimentazione a bassissimo contenuto di grassi è in grado di aumentare la produzione di adenosina: un nucleotide la cui espressione è in grado di inibire la funzione infiammatoria dei neutrofili. Nella sperimentazione clinica si è visto che molti pazienti che seguono un corretto regime alimentare chetogenico spesso registrano una diminuzione nei dolori osteo-articolari di natura infiammatoria e ciò avviene anche in pazienti che soffrono di emicrania.

Questo regime a bassissimo contenuto di zuccheri, ridurrebbe l’infiammazione pure nelle patologie infiammatorie del tratto gastro intestinale (morbo di Chron e colite ulcerosa) migliorando la sintomatologia e aiutando a ripristinare la mucosa lesa. Dati importanti ma, bisogna riconoscere, controversi. Un recente studio che ha messo in contrapposizione gli effetti di una dieta chetogenica isocalorica con le comuni linee guida alimentari (50% carboidrati, 35% grassi, 15% proteine) nel trattamento dell’infiammazione avrebbe infatti dimostrato che l’adozione di tale dieta non apporterebbe nessun miglioramento del quadro infiammatorio. Anzi, i risultati registrati a distanza di quattro settimane nel gruppo in esame che seguiva la dieta chetogenica hanno segnalato un aumento dei marcatori infiammatori (ES. Proteina C reattiva, FGF21 etc.), del colesterolo totale e una netta diminuzione dei trigliceridi e della glicemia rispetto al gruppo che seguiva le normali linee guida alimentari. è però importante rilevare che i benefici della dieta chetogenica si registrano a lungo termine e forse quattro settimane non sono sufficienti a ottenere dei netti miglioramenti.

Tale circostanza è determinata dal fatto che l’organismo deve completamente cambiare il modo di reperire energia, passando dal glucosio ai corpi chetonici che inducono la chetosi, durante la quale il nostro organismo usa il grasso corporeo come fonte energetica anziché il glucosio. Tutto quanto detto, si può concludere evidenziando purtroppo l’attuale inesistenza di studi a lungo termine che indichino una forte correlazione tra dieta chetogenica e infiammazione ma si evidenzia, altresì, come l’attenzione nell’ambito del settore scientifico sul tema sia in continua crescita specie negli Stati Uniti dove, nel mese di maggio, a Las Vegas, si è tenuta una conferenza con i massimi esperti del settore.  

 

Perché non riesci a mantenere il peso perso e cosa sono i drop-out

In medicina per Drop-out si intende l’interruzione della terapia.

Purtroppo è un fattore molto comune che dipende da molte cause e genera, di conseguenza, il mancato raggiungimento dei risultati preposti.

In termini di dieta ed alimentazione questo dato è molto significativo e si attesta all’80%. Questo sta a significare che circa 8 pazienti su 10 che iniziano una dieta o percorso alimentare non sono in grado di portarlo a termine e, quindi, falliscono nella ‘terapia alimentare’ e nel ridurre o controllare patologie gravi legate ad un peso eccessivo: diabete tipo II, sindorme metabolica, problemi cardiovascolari, problemi ossei etc.

Anche gli interventi di chirurgia bariatrica, che permettono di perdere peso velocemente attraverso la resezione o il bypass di porzioni del tratto GI, non garantiscono una stabilità del peso perso a lungo termine. Secondo le ultime statistiche circa il 40% dei pazienti che si sottopongono a questo tipo di interventi recupera, in 10 anni, più del 50% del peso perso.

Inoltre questo tipo di interventi hanno diverse controindicazioni: reflusso gastro-esofageo, carenze nutrizionali e la necessità di assumere continuamente integratori, dolori gastro-intestinali etc. 

Dove va ricercata, dunque, la causa del temuto effetto ‘yo-yo’ ?

Intanto ricordiamo che per effetto ‘yo-yo’ si intende la tanto fastidiosa oscillazione di peso che si ha tra un periodo di ‘dieta’ e l’altro. Tale effetto non permette di stabilizzarsi su un peso ideale.

La causa va ricercata principalmente nelle aspettative irrealistiche di molte persone ingannate da false promesse di metodi dimagranti alternativi, spesso privi di evidenze scientifiche e per lo più dannosi.

Perdere peso più lentamente delle proprie aspettative genera frustrazione, scarsa autostima e stress. Queste condizioni sono associate con un aumento della fame nervosa che spinge il paziente a mangiare grandi quantità di cibo che viene inteso come ‘consolatorio’.

Il paziente aumenta così di peso e peggiora il suo stato d’animo.

In definitiva, perde completamente la motivazione, più in sè che nello specialista che lo segue e decide di abbandonare il percorso in maniera drastica e irrevocabile, spesso ‘tagliando’ i rapporti in modo rapido con lo stesso specialista.

Questo spirale di malumore, depressione, sensi di colpa ed aumento, spesso smisurato, del peso continua fino a quando l’individuo non riprende coscienza della propria situazione e decide di intervenire contattando un altro specialista.

 

Cosa fare?

Il soggetto che intende perdere peso o comunque cambiare le proprio abitudini alimentari ha il dovere di cercare e contattare un professionista degno di tale nome e non affidarsi alle pozioni magiche di turno.

Una perdita di peso rapida all’inizio è possibile ma se non monitorata e controllata in un secondo momento si rivela dannosa e controproducente.

All’inizio di un percorso alimentare o dimagrante è fondamentale fissarsi degli obiettivi nel medio e lungo termine.

Vanno poi monitorati i risultati con controlli costanti e accurati. La puntualità nelle informazioni è fondamentale per lo specialista per correggere, eventualmente, il piano alimentare.

Bisogna dialogare circa le varie perplessità, dubbi e ansie con lo specialista senza temere giudizi o rimproveri.

I momenti di debolezza sono comuni, necessari e fondamentali. Questi vanno condivisi al fine di essere affrontati e risolti.

Il vero beneficio di una perdita di peso o di un cambio di stile alimentare è tale solo se viene mantenuto nel tempo. 

Il nostro corpo non ama perdere o cambiare peso perché tale processo è destabilizzante e viene percepito come un insulto dall’organismo stesso che reagisce attuando meccanismi compensatori.

Per questo motivo è molto facile riprendere il peso perso e una perdita di peso può definirsi stabile ed effettiva solo nel lungo periodo.

Per ottenere ciò è necessario: porsi degli obiettivi, tenere alta la concentrazione e motivazione, affrontare i momenti di sconforto ed acquisire nuove abitudine durante il percorso.

 

La carne rossa nella tua dieta

Un recente studio pubblicato sul Annals of Internal Medicine, prestigiosa rivista medica Americana, ha analizzato gli effetti negativi della carne rossa sulla salute dei consumatori.

Lo studio non ha trovato nessuna evidenza scientifica che dimostri che un ridotto consumo di carne rossa, lavorata o meno permetta di migliorare lo stato di salute.

Questo nuovo messaggio è in completa contrapposizione a quanto raccomandato dalle linee guida dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) che consigliano un ridotto consumo di carne rossa.

Chi ha ragione?

Nell’articolo un gruppo di esperti in Nutrizione e Medicina di sette paesi differenti ha analizzato attentamente tutti gli studi e la letteratura circa la correlazione tra un aumentato introito di carne rossa e problemi di salute come: mortalità, problemi cardiovascolari e cancro. 

I metodi di analisi usati sono stati rigorosi e standardizzati.

11 dei 14 relatori sostengono che non vi è nessuna necessità di ridurre il fabbisogno di carne rossa, che sia lavorata o meno. Gli altri 3 relatori suggeriscono solo una blanda riduzione del consumo di carne rossa. 

Tutti i membri del comitato scientifico sono concordi che le evidenze che mettono in relazione la carne rossa con i rischi per la salute sono troppo deboli e non consistenti.

 

Il problema è nell’interpretazione dei dati

Secondo l’articolo in questione il rapporto tra il consumo di carne rossa e i rischi per la salute sono molto deboli e sono il frutto di una incorretta interpretazione dei dati. 

Per esempio, in uno studio che ha fatto parte della pubblicazione di cui sopra il tasso di mortalità di chi mangiava la minima quantità di carne rossa è di 1.1 %/anno per persona contro l’1.4 %/anno per persona dei soggetti che mangiavano il quantitativo massimo di carne rossa (secondo gli standard imposti dallo studio).

Questo dato potrebbe essere ‘manipolato’ dicendo che ‘chi mangia carne rossa ha un tasso di mortalità del 27% superiore a chi non la mangia’ perché 1.4% è approssimativamente il 27% più alto di 1,1% in termini relativi.

Tecnicamente il rischio di mortalità equivale all’1% per entrambi i soggetti ma interpretando i dati diversamente può sembrare che ‘chi mangia carne rossa ha un tasso di mortalità superiore del 27% rispetto a chi non la mangia’ quando non è assolutamente così!

Cellulite e dieta Chetogenica

La cellulite (‘panniculopatia edemato-fibrosa’)è una condizione di natura infiammatoria, spesso fisiologica, che colpisce fino all’85% delle donne adulte.

La sua comparsa è dovuta ad una alterazione del microcircolo con conseguente accumulo di liquidi nei tessuti cutanei. 

La cellulite nella maggioranza dei casi si manifesta con fastidiosi inestetismi e può provocare senso di inadeguatezza e frustrazione nelle donne che ne soffrono. 

Tuttavia è importante sapere che la cellulite non è propriamente classificata come una patologia e può diventare di interesse medico solo nelle ultime fasi in cui si formano noduli dolenti alla palpazione causati da una infiammazione che può coinvolgere anche i tessuti circostanti.

 

Stadi della cellulite

EDEMATOSA.  E’ il primo stadio della cellulite dove si nota un iniziale accumolo di liquidi. E’ reversibile.

FIBROSA. In questo stadio della cellulite c’è la formazione di micronoduli che rallenta la circolazione sanguigna. Si inizia a formare la ‘pelle a buccia di arancia’

SCLEROTICA.Ultimo stadio della cellulite. I micronoduli si uniscono formando macronoduli. La zona si presenta con molti infossamenti e dolorosa al tatto. La cellulite sclerotica è, chiaramente, lo stadio più difficile da trattare.

 

Diagnosi

Una delle migliori stategia per la diagnosi resta la termografia. La termografia a contatto a cristalli liquidi microincapsulati nasce negli anni ‘70 e ora viene ampliamente utilizzata anche in medicina estetica.

La termografia si avvale di lastre che reagiscono al calore emanato dalla gamba colorandosi diversamente. 

La cellulite, con la formazione di noduli adiposi, tende a ridurre la vascolarizzazione della gamba che risulterà più fredda e reagirà in modo differente al contatto con la lastra.

 

La dieta chetogenica come trattamento

Studi recenti hanno dimostrato come un regime calorico restrittivo con alto contenuto di grassi e ridotto contenuto di zuccheri (circa 20 gr di carboidrati netti al giorno) possa aiutare a ridurre la cellulite.

La dieta chetogenica promuove la produzione di corpi chetonici che hanno una azione anti-infiammatoria e la drastica riduzione di zuccheri e zuccheri complessi nell’alimentazione porta ad eliminare molti liquidi che ‘stagnano’ nel tessuno infiammato.

L’idratazione, quindi, ha un ruolo cardine in questo tipo di alimentazione.

 

Lo studio medico Mignano/Della Valle

Il dott. Pietro Mignano, Biologo Nutrizionista e Farmacista dello studio M2D ha perfezionato i suoi studi circa la dieta chetogenica negli USA presso il DFC Duke University e la Duke Outpatient Clinic.

Usa il protocollo chetogenico applicato nelle migliori cliniche degli USA che non prevede pasti sostitutivi o integrazione. 

Si avvale, inoltre, delle lastre termografiche di ultima generazione per la rilevazione della cellulite e della ritenzione idrica.

 

Contattaci

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Coca normale o senza zucchero?

Coca con o senza zucchero

La principale differenza tra la coca normale e quella zero sta nella quantità di zucchero.

La prima contiene zuccheri aggiunti che aumentano le calorie della bevanda, la seconda non ha calorie (o pochissime) perché non contiene zuccheri ma dolcificanti (sostanze sintetiche prive di calorie con alto potere dolcificante spesso usate in barrette o alimenti dietetici o presunti tali).

Allora, quale scegliere?

La quantità di zucchero (aggiunto) raccomandata negli Stati Uniti non dovrebbe superare i 9,5 cucchiaini di the al giorno. Un americano medio consuma, generalmente, 22 cucchiaini di zucchero al giorno. Più del doppio della quantità consigliata.

In Italia i dati non sono così allarmanti ma il tasso di obesità, soprattutto nei bambini e negli adolescenti, non è mai stato così alto.

Mentre lo zucchero può essere una eccellente fonte di energia per atleti e sportivi l’ampio e smodato consumo è correlato a fattori di rischio per la salute.

Un recente studio (Long-Term Consumption of Sugar-Sweetened and Artificially Sweetened Beverages and Risk of Mortality in US Adults. Malik VS et al. 2019) ha associato l’alto consumo di bibite gassate zuccherine (2 o più al giorno) con l’aumento del rischio di condizioni patologiche come: Diabete di tipo II, problemi pressori e infarto. 

E’ importante, tuttavia, chiarire che la correlazione tra il consumo di bibite con zuccheri aggiunti e le patologie in questione non indica una certezza di sviluppo di patologie in tutti i soggetti che consumano regolarmente queste bevande.

Sicuramente, moderarne l’uso gioverebbe a molti!

Riguardo le bibite con dolcificanti ?

Il consumo di bibite dolcificate con edulcoranti sembra sia correlato con una alterazione della flora intestinale (batteri ‘buoni’ che popolano il nostro intestino) che potrebbe aumentare il rischio di Diabete e insulino-resistenza.

Tuttavia altri studi (Associations of diet soda and non-caloric artificial sweetener use with markers of glucose and insulin homeostasis and incident diabetes: the Strong Heart Family Study. Jensen PN et al. 2019) hanno escluso una correlazione tra dolcificanti e diabete.

Anche gli studi circa i problemi cardiovascolari sono contrastanti.

Vista la letteratura, non ancora completa circa questo argomento, il consiglio è di consumare con moderazione queste bevande (che siano con zucchero o meno). Un consumo corretto non dovrebbe superare le 2 lattine a settimana.

Ketodiet: evitare gli errori più comuni e perdere peso

Ketodiet

La ketodiet, alimentazione ricca in grassi, a bassissimo contenuto di zuccheri e moderato contenuto di proteine, è diventata uno dei protocolli di dimagrimento più usati negli USA e sta avendo moltissima risonanza anche in Italia.
Molte persone hanno ottenuto grandi risultati attraverso questa alimentazione ma altrettante persone hanno difficoltà nel seguirla non riuscendo a raggiungere i risultati preposti.

Di seguito è stilata una lista dei 5 più comuni errori di chi segue la ketodiet:

  • Introdurre troppe calorie
    L’introito di grassi in questo stile alimentare è fondamentale. Tuttavia i grassi hanno 9 kcal/gr, quindi sono altamente calorici. In chi segue bene la ketodiet il senso di fame passa in circa 2 giorni per cui non bisogna mangiare per ‘gola’ ma fermarsi quando non si ha più fame altrimenti l’introito di calorie aumentato (di cui non abbiamo realmente bisogno) fermerà o rallenterà il dimagrimento.

 

  • Non mangiare abbastanza grassi
    Spesso la gente confonde la ketodiet con una dieta iperpoteica e a basso contenuto di grassi: è esattamente l’opposto!
    Nella ketodiet i grassi sono la prima fonte di energia! Dal momento che i grassi sono la fonte di energia più saziante ed energetica di cui disponiamo è fondamentale consumarli nella giusta quantità per permettere all’alimentazione di funzionare correttamente. Ovviamante le proteine sono importanti ma, mangiare tante proteine quanti grassi può rallentare il dimagrimento. L’introito proteico corretto varia da persona a persona ma l’importante è evitare una versione low-fat della ketodiet !

 

  • Mangiare troppi cibi raffinati
    La ketodiet dovrebbe essere seguita consumando interamente ‘cibo vero’. Molti prodotti ‘chetogenici’ sul mercato (barrette, integratori, etc.) sono ricchi in calorie e rallentano il dimagrimento.

 

  • Non prestare attenzione al consumo di acqua e sodio
    Quando si segue la ketodiet il corpo non è in grado di immagazzinare molta acqua e, di conseguenza, molto sodio verrà escreto con le urine. Questo può comportare disidratazione, debolezza e nervosismo. La carenza di sodio può generare affaticamento e crampi. Per questo motivo è necessario assumere circa 2,500-3,000 mg di sodio/die attraverso l’alimentazione e bere circa 2-2,5 L /die.

 

  • Fai da te
    Prima di iniziare questo tipo di percorso, così come ogni altro tipo di percorso dimagrante, è necessario il parere di un esperto. La ketodiet è una alimentazione sana che permette di ridurre il colesterolo tot., la pressione arteriosa e può essere un utile trattamente nel diabete mellito di tipo II.
    Tuttavia può anche causare gravi danni all’organismo se fatta con leggerezza. E’, perciò, fondamente una visita approfondita che prenda in considerazione: eventuali problemi di salute, uso di farmaci o integratori, stili di vita, componente genetica.

 

Non siamo tutti uguali ed è impensabile di poter trattare tutte le persone con lo stesso approccio.