Voce, come urlare senza sforzarla: il corso presso lo Studio M2D

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L’urlo è una manifestazione amplificata della voce, un’espressione di uno stato d’animo spesso associabile alla rabbia. Esso può essere utilizzato però anche in ambiti diversi, come ad esempio in fase di recitazione.

Voce urlata: ecco perché è meglio non trattenerla

Quando si hanno difficoltà vocali, istintivamente si tenta di evitare di urlare o di usare toni elevati della voce. L’urlo esprime dunque un’emozione e come tale è bene liberarla e non trattenerla.

In caso contrario infatti si generano inconsapevolmente meccanismi di sforzo.
Con l’utilizzo di specifiche tecniche vocali è possibile utilizzare la voce urlata senza comportare sforzo o traumi alle corde vocali. 

Il corso di voce urlata: come regolare le tecniche vocali

All’interno del corso sarà possibile apprendere come incanalare e gestire al meglio le tecniche vocali.
Come urlare senza sforzare la voce?
E’ questa la domanda che ci siamo prefissi di dare risposta. 

Nel nostro Studio M2D infatti ci occupiamo bene nel dettaglio anche e soprattutto di tutti quei temi che toccano la logopedia.
I punti salienti presenti all’interno del corso saranno i seguenti: 

  • Cenni di anatomofisiologia dell’apparato fonatorio.
  • Respirazione costo-diaframmatoria (qui il nostro articolo sul tema).
  • Tecniche vocali.
  • Verifica della vocalità tramite registrazione digitale (spettrografia vocale) e analisi audiovisiva individuale. 

Durata del corso: 4 ore

Costo del corso: 100 euro/persona

Disgrafia: cosa è e come prevenirla grazie al laboratorio grafo-motorio

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Disgrafia: cos’è?

La disgrafia è un disturbo delle componenti esecutive-motorie della scrittura. Ne abbiamo già parlato in un altro nostro articolo mettendo in risalto la distinzione tra questo tipo di disturbo ed un altro, la disortografia

Disgrafia: quando si manifesta


Il bambino disgrafico incontra difficoltà in diversi ambiti. In primis quello grafo-motorio, poi di orientamento e integrazione spazio temporale.
Spesso inoltre si è soggetti a mancanza di coordinazione oculo-manuale e coordinazione dinamica generale e di dominanza laterale non adeguatamente acquisita. Senza contare poi discriminazione e memorizzazione visiva sequenziale.

La scrittura è la rappresentazione grafica dell’attività parlata e, dunque, per poter scrivere il bambino deve aver raggiunto buone capacità motorie, di discriminazione visiva, di coordinazione ed organizzazione spaziale. Infatti, per scrivere in maniera adeguata, è necessario mettere in atto movimenti specifici e caratteristici da attuare entro precisi vincoli temporali.
È fondamentale che tali prerequisiti raggiungano l’automatizzazione in modo da permettere l’integrazione di una prassi complessa, quale è la scrittura.

Disgrafia: come riconoscerla


La disgrafia è possibile riconoscerla già in tenera età grazie al pregrafismo. Questa attività è dedicata al perfezionamento delle abilità propedeutiche all’apprendimento della scrittura.

Il fine ultimo è quello di garantire un passaggio semplice e sereno alla scuola elementare. Così facendo si garantisce una stimolazione ed un potenziamento dell’apprendimento della scrittura ed evidenziare in maniera precoce eventuali difficoltà di scrittura, al fine di prevenirle.

Laboratorio grafio-motorio: un aiuto verso la disgrafia

Il laboratorio grafo-motorio presenta delle attività che mirano alla stimolazione e al potenziamento dei prerequisiti motori specifici della scrittura, quali:

  • coordinazione dinamica dell’arto superiore, che include la presa di coscienza dell’uso differenziato del segmento corporeo, al fine di rendere possibile la posizione del braccio, sulla quale si attiva la manualità fine della mano.
  • motricità fine, caratterizzata da diverse caratteristiche quali la precisione, ovvero sia isolare movimenti interessati dalla scrittura; forza muscolare, per consentire i movimenti in estensione base della scrittura; coordinazione neuromuscolare che consente la fluidità di scrittura; automaticità dei movimenti.

La “motoricità fine” influenza la presa dello strumento grafico, la quale conosce diversi stadi di sviluppo: prensione a pugno palmare, a pugno digitale e con le tre dita.
In quest’ultima il pollice e l’indice tengono lo strumento, il medio lo sorregge, anulare e mignolo stabilizzano la posizione sul piano di lavoro.

L’obiettivo degli esercizi inclusi nel laboratorio logopedico è lo sviluppo di tale posizione permettendo una coordinazione neuromuscolare efficace. Questa potrà essere potenziata e stimolata anche attraverso l’uso dell’impugna facile, che garantisce il mantenimento della posizione durante lo svolgimento delle schede di pregrafismo.

Fondamentale sarà anche la posizione della mano rispetto al piano di lavoro, la quale dovrà essere al di sotto della linea di scrittura.

Coordinazione oculo-manuale

Coordinazione oculo-manuale: capacità di controllo e regolamentazione dei movimenti dell’arto superiore e della mano, movimenti controllati dall’occhio. Il controllo visivo è fondamentale per la guida del movimento durante l’apprendimento della scrittura.
In conclusione il laboratorio grafo-motorio ci permette di integrare la dimensione dell’educazione e della riabilitazione, sottolineandone la profonda relazione data dalla finalità comune di sviluppo delle competenze prassico-motorie e grafo-motorie, in funzione dell’apprendimento della scrittura.

Per ciò il laboratorio si presenta come uno strumento di insegnamento e di apprendimento della scrittura nella sua componente grafo-motoria esecutiva.

 

La voce e il computer: un aiuto verso i professionisti

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La voce: cosa è e come viene usata dai professionisti

Nell’ambito della comunicazione umana la voce costituisce l’elemento fondamentale dell’espressione verbale-fonatoria. Ma cosa si intende con il termine voce e che cos’è una bella voce?
La voce è una caratteristica della persona e dal suo timbro possiamo identificare colui che parla o, se si tratta di un estraneo, indovinare la sua età, cultura, regione di provenienza, stato emotivo.

La qualità della voce è fondamentale per i professionisti della parola e ancor più per i cantanti. Quando un vero professionista della voce, esperto della tecnica, ci trascina con lui noi viviamo le sue stesse sensazioni, noi respiriamo insieme a lui, la nostra laringe funziona senza contrazioni. Con il termine voce si indica un prodotto acustico costituito da un suono complesso provocato attivamente dalla laringe in presenza di una corrente respiratoria, normalmente espiratoria. In altri termini “la voce” costituisce quella parte del linguaggio articolato realizzata con la vibrazione delle corde vocali.

Gli strumenti tecnologici in aiuto di una “buona voce”

La voce è un fenomeno multidimensionale, un insieme di componente armonica, rumore ed energia variabile e variamente distribuita per ogni sua componente. Dal punto di vista fisico ogni singola componente può essere 72 I quaderni di scomposta ed analizzata anche numericamente. Esaminando la voce con gli analizzatori, ovvero con apparecchi che permettono di scomporla nei suoi valori di frequenza, si scoprono caratteristiche molto specifiche.

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Il suono emesso è una vibrazione acustica caratterizzata da un volume, una forma, e una coloritura. Il volume si chiama chiama “intensità” e la forma si determina dal tono. Il più grave si chiama “frequenza fondamentale” e rappresenta la frequenza inferiore tra quelle contenute nel suono emesso; è la frequenza di base di vibrazione delle corde vocali.
La coloritura infine è legata alla tessitura delle frequenze sovrapposte, alla presenza e all’intensità delle armoniche che si vanno formando nei risuonatori, cioè nelle cavità poste al disopra della laringe, la principale delle quali è l’orofaringe.
Dalla composizione delle armoniche risulta l’oggetto sonoro che sarà più o meno colorito, più o meno brillante, più o meno scuro. La valutazione del suono, della sua qualità, dipende quindi dai parametri che abbiamo appena elencato.

Un suono di qualità, una volta eseguita l’analisi, si rivela un suono molto ricco di coloritura. La valutazione della qualità resta in ogni caso qualcosa di molto soggettivo e molto individuale, legata alla percezione acustica del risultato finale del fenomeno sonoro. Inoltre la voce è un fenomeno assolutamente individuale, in relazione alle caratteristiche morfologiche degli organi deputati alla sua produzione. Tra questi i principali sono le corde vocali e le cavità di risonanza (tratto vocale).

Le malattie della voce

La qualità della voce può essere perduta a causa di malattie di varia natura o, in particolare nei professionisti della parola e del canto, a causa dell’usura a cui vanno incontro gli organi vocali se sottoposti a sforzi eccessivi. Questi sforzi possono essere causati da un abuso dell’utilizzo del mezzo fonatorio o, più frequentemente, da un suo cattivo impiego.

Il sintomo delle alterazioni dell’apparato vocale è costituito dalla disfonia, ovvero da un’alterazione della voce parlata in senso quantitativo e qualitativo o dall’assenza di voce, definita afonia. I disturbi della voce cantata vengono denominati “disodie”. Poiché la voce è un fenomeno globale, e nella sua produzione coinvolge l’individuo totalmente, possono influire su di essa tutti quei fenomeni che alterano l’equilibrio psico-fisico dell’individuo stesso, quali alterazioni dello stato emotivo, stress, stanchezza, alterazioni del ritmo sonno-veglia, alterazioni posturali. Secondo “Segre” le disfonie vanno classificate in disfonie da lesioni organiche e disfonie da alterazioni funzionali.

Disfonie croniche vocali

Nell’ambito delle disfonia da lesioni organiche ricordiamo le forme infiammatorie acute e croniche (laringiti acute e croniche), le disfonie post traumi laringo – cervicali, le disfonie da alterazioni embrionali (glottide palmata, solco cordale, ipoplasie cordali congenite), le disfonie da paralisi laringee (nella miastenia gravis, nelle lesioni nervose), le disfonie da neoformazioni laringee benigne (polipi, cisti, papillomi, etc.) e maligne. Inoltre vanno ricordale le disfonie di origine ormonale o causate da alterazioni del sistema nervoso centrale.

Nell’ambito delle disfonie da alterazioni funzionali ricordiamo: la disfonia cronica infantile, le disfonie psicogene, la disfonie ipocinetiche, ipercinetiche, la disfonia spastica, le disfonie professionali, le disfonie sopravvenute nel corso di disturbi della muta vocale, etc. Esistono inoltre le disfonie originate da cause miste tra le quali ricordiamo i noduli.

Come si valuta la qualità della voce

La valutazione percettiva della qualità vocale è uno degli argomenti più trattati in campo foniatrico ed ha dato luogo a studi in tutto il mondo, non sempre univoci. Tali approcci valutativi morfologici o percettivo- soggettivi sono spesso imprecisi e variabili da soggetto a soggetto. Da esaminatore ad esaminatore, sulla base delle singole interpretazioni o dell’esperienza raggiunta nel campo specifico. Pertanto appare necessario, nell’ambito dello studio dell’analisi vocale in campo clinico, integrare la valutazione percettiva con analisi oggettive.

Attualmente solo la “voce” è studiata in maniera abbastanza completa, con valutazione integrata percettiva/oggettiva effettuata grazie alla spettrografia vocale digitale associata allo studio multiparametrico MDVP (multi dimentional voice program). Il programma MDVP produce una rappresentazione grafica di 22 parametri della voce (frequenza fondamentale e sue derivate, energia del rumore e delle armoniche, variazioni di ampiezza e sue derivate, numerosità dei tratti sordi, etc.).

Il grafico radiale, normalizzato con i valori di una base di dati di voci normali, avrà un aspetto regolare e comunque sarà contenuto all’interno di un cerchio di soglia, mentre valori patologici si porranno all’esterno del cerchio citato. Tutta la produzione verbale (linguaggio parlato, lettura, etc.) è valutata in maniera percettiva con tutti i limiti che abbiamo già rappresentato. Vi è inoltre da segnalare che i metodi di valutazione e i parametri oggettivi presi in esame variano da una clinica all’altra. Questo perché non esistono a oggi metodi standard universalmente riconosciuti per la valutazione obiettiva della qualità della voce.

Il bambino che non parla: che cosa fare?

Bambino che non parla

Il bambino che non parla è tema di grande discussione. In questo articolo cercheremo di rispondere in maniera esaustiva alle domande che molti genitori si pongono, alla quale desiderano avere risposte concrete.

“Perché mio figlio non parla?”. Oppure: “Perché mio figlio parla poco e/o non si esprime in modo appropriato rispetto alla sua età cronologica?”. E ancora: “Mio figlio recupererà in fretta il suo ritardo linguistico o rimarrà più indietro degli altri?”.

L’importanza del linguaggio può indurci a pensare che “imparare a parlare” sia totalmente regolato da fattori interni, di tipo biologico. Una capacità così vitale alla sopravvivenza della specie dovrebbe essere robusta e insensibile alla varietà delle condizioni ambientali. 

Tuttavia i ritmi di sviluppo del linguaggio mostrano una notevole variabilità inter individuale.
Una diversità dovuta sia a fattori biologici, sia a fattori ambientali. Questi sono:
minore o maggiore stimolazione in ambito familiare, inserimento precoce a scuola, presenza di fratelli o sorelle e così via.

Il bambino che non parla: le lacune nelle competenze comunicative

Alcuni bambini, già a due anni possiedono un vocabolario ricco e una notevole capacità d’espressione, altri alla stessa età dicono solo poche parole isolate.

Nonostante ogni bambino abbia tempi e modi estremamente personali di imparare a parlare, è importante per un genitore essere al corrente del fatto che comunicare con il linguaggio parlato implica l’acquisizione di specifiche capacità in quattro aree distinte:

  • Fonologia, cioè la capacità di riconoscere, distinguere e produrre suoni linguistici diversi. Il fonema è la più piccola unità di suono che si utilizza per differenziare le parole di una lingua; Semantica, che riguarda il significato delle parole e delle frasi;
  • Sintassi, insieme di principi che governano il modo in cui parole e altri morfemi (unità minima di fonemi dotati di significato), sono ordinati per formare una frase possibile in una data lingua (es. l’ordine delle parole in una frase);
  • Pragmatica, la capacità di modulare e comprendere i significati in relazione agli aspetti contestuali (verbale e non verbale). Il significato di parole e frasi può variare in relazione al contesto nel quale vengono pronunciate e all’intenzione del parlante.

Come qualsiasi altra abilità, anche la comunicazione va educata. Il miglior sviluppo possibile si ha quando il bambino che non parla sente di essere collocato in gruppo.
Attraverso un coinvolgimento diretto acquisisce competenze comunicative e linguistiche partendo da esperienze significative. Tali esperienze sono inizialmente collocate ai suoi bisogni primari e poi ad avvenimenti nei quali può impegnarsi ed interagire con altre figure importanti: familiari, amici, coetanei, educatori.

Le fasi della comunicazione del bambino

È ormai certo che il bambino impara prima le parole e poi, solo successivamente, utilizza i suoni delle prime parole per formarne delle nuove (competenza fonologica).
Questo spiega perché, talvolta, alcune consonanti sono prodotte correttamente in una parola e non in altre, ed anche perché, per intervenire sulla pronuncia di un bambino è necessario che egli abbia un vocabolario sufficientemente esteso.

Dopo i tre anni il bambino struttura il suo sistema fonologico e, con grande creatività, produce progressivamente suoni nuovi e sequenze sempre diverse fino a raggiungere la produzione adulta corretta. Non tutti i suoni raggiungono la maturità articolatoria con la stessa rapidità: le vocali, che nella lingua italiana sono piuttosto semplici, sono acquisite velocemente, al contrario, i dittonghi con più difficoltà.

Fra le consonanti, sicuramente quelle bilabiali (/p/ /b/ /m/), sono le prime a comparire tuttavia le difficoltà ad articolare una consonante non dipendono solo dal suono in se stesso, ma anche dalla posizione in cui si trova all’interno della parola e dai suoni che lo precedono e lo seguono; ad esempio il bambino potrà dire /atte/ per /latte/, omettendo quindi la consonante /l/ ad inizio di parola, ma articolarla correttamente all’interno della parola /palla/. Questa fase dello sviluppo è assolutamente imprevedibile ed individuale, ciò implica una grande variabilità tra i bambini.


Come il contesto abituale si connette con la fonetica


Durante l’apprendimento del linguaggio è molto importante valutare non solo la quantità di parole che il bambino dice ma, soprattutto, come vengono usate.
Infatti all’inizio della verbalizzazione le parole sono utilizzate unitariamente all’azione compiuta, ad esempio il bambino dice pappa, mentre mangia o mentre gioca con il cucchiaio. In seguito, la parola anticipa o ricorda un’azione: es. /palla papà/ può indicare una richiesta /papà andiamo a giocare a palla/ o può definire un avvenimento: /sono andato a giocare a palla con il papà/.

Successivamente il bambino si serve delle parole anche fuori del loro contesto abituale.
Ad es. quando il bambino dice /papà/, indicando le scarpe del genitore che in quel momento non c’è, può specificare che quelle sono le scarpe del papà. La parola è inizialmente usata perché la situazione la richiede e, come l’azione, essa è parte di un contesto.

Esiste un percorso comune ad ogni bambino nell’ambito del quale possono essere identificate delle età di riferimento:

  • 3-5 mesi
    Il bambino utilizza pianti, gorgheggi, sorrisi, gridolini, ma ancora in modo non intenzionale. L’adulto gioca, imitando il bambino, ed il bambino tenta di imitare l’adulto in un primo gioco di scambio comunicativo.
  • 6-8 mesi
    Il bambino inizia ad esercitare gli organi articolatori e uditivi, giocando con i primi suoni della lingua. È il periodo della “lallazione”, in cui produce sequenze di sillabe (da-da-da, la-la-la) per ilo solo piacere di ascoltarsi.
  • 9-12 mesi
    Il bambino indica, mostra oggetti, li dà. Ancora non usa vere parole, ma ne comprende molte di quelle utilizzate dagli adulti e si avvale di questi gesti per comunicare i suoi interessi ed entrare in relazione con gli altri.
  • 12-16 mesi
    Intorno all’anno il bambino comincia a pronunciare le prime parole.

    È, inoltre, molto bravo a comunicare con i gesti: fa “no” con la testa, apre le braccia per fare”non c’è più”, fa il verso del pesce con la bocca.
  • 16-18 mesi
    Il bambino capisce che tutte le cose hanno un nome. Impara velocemente le nuove parole. ancora usa parole e gesti insieme per comunicare.
  • 18-24 mesi
    Il vocabolario del bambino è di 50 o più parole. Adesso riesce ad associare due o più parole per raccontare o descrivere ciò che sta vivendo.
  • 2-3 anni
    Le sue frasi sono costruite meglio, il vocabolario si diversifica. Usa aggettivi, verbi, a volte coniugandoli. 3-4 anni

    Il bambino inizia ad usare parole astratte, pronomi, preposizioni. Aumenta anche la comprensione del linguaggio nelle attività quotidiane. L’acquisizione della grammatica e dell’uso dei suoni del linguaggio è ora completata. Da ora in poi ci sarà solo un progressivo incremento del lessico e un affinamento nell’organizzazione sintattica delle frasi.

    Può succedere, però, che in alcuni casi, sotto l’influenza di diversi fattori, il linguaggio del bambino non si sviluppi armoniosamente.

Il bambino che non parla: quali sono le cause

 

  • Organiche (perdite uditive, sindromi genetiche, epilessie, lesioni cerebrali,…);
  • Non organiche (problemi emotivo-relazionali importanti);
  • Non accertabili (disturbi che riguardano specificatamente il linguaggio, in assenza di patologie fisiche evidenti).

Il primo passo nell’identificare la causa del ritardo del linguaggio, prevede l’acquisizione della storia completa della gravidanza e del parto, delle tappe evolutive e la storia della famiglia. La storia di qualsiasi trauma, prematurità, asfissia, o infezioni congenite intrauterine che possono danneggiare il sistema nervoso centrale dovrebbe mettere il medico in allerta.

I bambini con una storia di sordità o che hanno avuto una meningite batterica o un ricorrente o persistente otite media sono a rischio di sviluppare un ritardo della parola e del linguaggio.
Un disturbo espressivo del linguaggio riportato in bambini con otite media ricorrente. Come risultato la prevalenza della sordità nell’infanzia che ammonta a circa il 2-3% alla nascita, raddoppia quando si includono le perdite di udito acquisite.

Una buona valutazione clinica incluso uno studio meticoloso del sistema nervoso centrale e delle strutture dell’orecchio del naso e della gola sono obbligatorie.
Nel caso in cui ci trovassimo di fronte ad una palese regressione o variazione nella gravità del linguaggio, una elettroencefalografia durante il sonno può essere utile a riconoscere una epilessia sub-clinica o sindromi come quella di Landau-Kleffner.

Segnali di rischio per i disturbi del linguaggio


Il bambino a qualsiasi età non reagisce ai suoni
, non si muove o si agita quando si provoca un suono, assenza lallazione a 9 mesi.

  • Tra i 18 e i 24 mesi non dice alcuna parola;
  • Dopo i 2 anni non esegue semplici comandi verbali;
  • Ad ogni età ha una voce strana e sgradevole

E’ necessario un controllo tempestivo, per accertarsi se esistano problemi uditivi, di linguaggio o di altra natura. La precocità nella diagnosi è infatti fondamentale per la buona riuscita di qualsiasi tipo di trattamento. La valutazione logopedica deve sempre essere preceduta da una valutazione neuropsichiatrica infantile. Questa valutazione permetterà di rilevare eventuali disturbi neurologici e/o psichici alla base dell’alterazione del linguaggio e/o ad esso associati.

Il lavoro del logopedista sul bambino che non parla

Il logopedista esamina le capacità conversazionali del bambino e le sue capacità di esprimersi attraverso il linguaggio tramite prove e colloqui allo scopo di individuare i suoi punti deboli e i suoi punti di forza. La valutazione logopedica comprende un primo colloquio con i genitori per raccogliere informazioni sullo sviluppo comunicativo e linguistico del bambino e sulle sue modalità comunicative con una breve osservazione del bambino e la compilazione della sua cartella.

La valutazione del linguaggio avviene sempre in contesti ludici con somministrazione di test standardizzati. I test permettono di comprendere l’esistenza di un ritardo e la sua entità.

La percentuale di bambini con un forte ritardo linguistico a due anni oscilla tra il 9% e il 17% con una prevalenza di maschi rispetto alle femmine.
I bambini che parlano tardi vengono in genere identificati con questo criterio: producono meno di dieci parole diverse ( nella fascia di età 18-23 mesi) o producono meno di 50 parole diverse e nessuna combinazione di almeno due parole (nella fascia di età di 24-34 mesi).

L’ampiezza del lessico di produzione viene in genere stabilita attraverso un questionario fornito ai genitori (Caselli & Casadio, 1995), ma viene poi riesaminata attraverso osservazioni dirette. E’ importante escludere che ci siano fattori cognitivi, percettivi, neurologici, alla base del ritardo linguistico. Questo viene in genere appurato somministrando un test di efficienza intellettiva (ad esempio, le “scale Bailey” che valutano lo sviluppo senso motorio), compiendo un esame audiologico e neurologico.

E’ anche importante stabilire se il bambino abbia una comprensione lessicale buona, utilizzando ancora una volta un questionario per i genitori oppure qualche semplice test di conoscenza lessicale.
Vengono definiti “bambini che parlano tardi” (late talkers, [leittokes]) i soggetti che hanno un normale sviluppo intellettivo e socio-affettivo, e che non hanno alcun apparente danno neurologico.

Una comune caratteristica dei bambini che parlano tardi è un forte ritardo fonologico che si accompagna al ritardo nella produzione lessicale.
Molti bambini che a due anni hanno una produzione fonologica e lessicale immatura, tipica di soggetti più piccoli, intorno ai tre anni sembrano aver recuperato il ritardo: hanno un lessico piuttosto ampio, molti dei loro enunciati sono comprensibili e iniziano a combinare parole.
Questi bambini sono definiti in inglese con una graziosa espressione, late bloomers ([leitblumes]), bambini che sbocciano tardi.

Roberts, Rescorla, e collaboratori (1998) hanno osservato a 3 anni un gruppo di bambini che erano stati identificati per il loro ritardo linguistico tra i 24 e 31 mesi di età. Rivedendoli a 3 anni, circa la metà dei soggetti può considerarsi late bloomers: produce un numero di enunciati comprensibili equivalente a quello di un gruppo di controllo (19 bambini di 3 anni, con sviluppo linguistico tipico), anche se la loro produzione fonologica è ancora più indietro rispetto al gruppo di controllo. Anche le frasi sono più brevi e meno complesse sintatticamente rispetto al gruppo di controllo.

Altri studi permettono di individuare le caratteristiche del ritardo linguistico che sono maggiormente predittive dello sviluppo linguistico successivo. Per un bambino che a due anni produce pochissime parole (nell’ordine della decina), la probabilità di avere un rapido progresso a livello lessicale dipende dal suo livello di sviluppo fonologico, che può essere indicato dai diversi tipi di consonanti che sa utilizzare.

La probabilità di recuperare a livello di sviluppo sintattico entro i tre anni non può invece essere predetta né dallo sviluppo fonologico né da quello lessicale, ma soltanto dall’età di comparsa delle prime combinazioni di parole (Mirak & Rescorla, 1998). I bambinI che intorno ai 31 mesi non producono alcun enunciato con una combinazione di almeno due parole hanno un’alta probabilità di mantenere il ritardo nello sviluppo sintattico anche a 3 anni.
Per molti bambini il ritardo linguistico sembra risolversi nell’età prescolare tra i 4 e i 5 anni, ma per alcuni il ritardo si prolunga.
Per i bambini che hanno un ritardo di linguaggio a 4-5 anni si usa il termine “disturbo specifico di linguaggio” (DSL).

Alcune procedure sono fondamentali per compiere una diagnosi di disturbo specifico di linguaggio: Stabilire (attraverso test standardizzati) se il linguaggio del bambino è in ritardo nella produzione fonologica, e/o lessicale, e/o sintattico-morfologica.
Stabilire se c’è un ritardo nella comprensione di enunciati con diverse strutture grammaticali. Osservare, in una situazione il più naturale possibile per il bambino, la sua capacità di comprendere il linguaggio e di farsi capire attraverso il linguaggio.

Escludere, somministrando test di sviluppo cognitivo e motorio, che il ritardo linguistico sia parte di un più generale ritardo di sviluppo.
Escludere che vi sia un disturbo della comunicazione di origine emotiva, o un deficit uditivo o un impedimento fisico all’articolazione.

Una comune classificazione del disturbo specifico di linguaggio distingue tre sottotipi (cfr. Cipriani e Chilosi, 1995): un disturbo specifico in cui la difficoltà è limitata al livello fonologico un disturbo del linguaggio “espressivo”. In questo caso le difficoltà interessano sia la fonologia sia la struttura sintattica e morfologica ma sono limitate alla produzione linguistica e non riguardano la comprensione un disturbo del linguaggio “recettivo”, in cui la comprensione, oltre che la produzione di enunciati risulta deficitaria.

Se non vengono precocemente diagnosticati e trattati in maniera adeguata i DSL possono avere serie ripercussioni sul funzionamento individuale e sociale del soggetto.Tra le conseguenze più frequenti vanno segnalate problematiche di tipo emotivo e comportamentale e, con l’ingresso nella scuola, difficoltà di apprendimento.

Con il termine “Disturbi specifici dell’Apprendimento” (DSA) ci si riferisce ad un gruppo eterogeneo di disordini che si manifestano con difficoltà nell’acquisizione e nell’utilizzo di abilità di lettura, scrittura, ragionamento logico e matematica. La causa di questi disturbi è di natura organica. Presumibilmente legata a disfunzioni del sistema nervoso centrale e non può essere attribuita alla presenza di altre condizioni di handicap. All’interno della categoria dei DSA rientrano una serie di disturbi indipendenti l’uno dall’altro, ma che spesso si presentano in maniera associata, tra i quali: “disturbo specifico di lettura”, “disturbo specifico di comprensione del testo scritto”, “disturbo specifico di scrittura”, e “disturbo specifico del sistema dei numeri e del calcolo”.

Il “disturbo specifico di lettura” (dislessia) (incidenza 2%-2,5%) è un disturbo inerente all’acquisizione e all’automatizzazione delle capacità di decodifica del materiale scritto. Da un punto di vista clinico, la lettura di un bambino dislessico risulta essere molto lenta (deficit di rapidità) e/o ricca di errori (deficit di accuratezza). A queste difficoltà spesso si aggiungono secondariamente problemi nel comprendere ciò che è stato letto. In molti casi la dislessia si presenta in comorbidità con altri disturbi specifici dell’apprendimento (disortografia e discalculia) e con deficit di natura attentiva.

Uno dei concetti chiave nella diagnosi della dislessia è quello di discrepanza tra le abilità di lettura del soggetto e il livello generale di intelligenza. Questa, non eseguibile prima della fine della seconda elementare, si basa su prove di lettura di liste di parole di diversa lunghezza, di non parole e di brani. I principali fattori di rischio per la dislessia sono: la familiarità per il disturbo e la presenza di disturbi del linguaggio, anche se risolti in età prescolare.

Un altro disturbo che si colloca all’interno dei DSA è il “disturbo specifico di comprensione del testo scritto”. Comprendere un brano è un’attività estremamente complessa che richiede di far fronte a diverse difficoltà di natura lessicale, semantica e morfo-sintattica e che si basa su buone capacità di tipo metacognitivo (capacità sulle quali, nella maggior parte dei casi è mirato l’intervento). Uno degli strumenti che vengono utilizzati per la diagnosi sono le “prove MT di comprensione” (Cornoldi e Colpo, 1998, 1995). È abbastanza raro riscontare un disturbo specifico di comprensione in assenza di altre difficoltà. Deficit di comprensione avranno pesanti ripercussioni su tutte le materie scolastiche.

La disgrafia: un disturbo che colpisce i bambini

Oltre a problemi inerenti alla lettura, possono rincontrarsi nei bambini deficit che riguardano i processi di scrittura. Con il termine “disturbo specifico di scrittura” si fa riferimento principalmente alla disgrafia ed alla disortografia. E’importante comunque distinguere bene le due cose (clicca qui per approfondire nel nostro articolo).

La disgrafia consiste in un deficit nella realizzazione grafica del segno scritto, mentre la disortografia è un disturbo caratterizzato da deficit nelle abilità di compitazione e, quindi dalla presenza di errori di tipo ortografico. Tra questi errori vanno menzionati: confusione tra fonemi simili, confusione tra grafemi simili, omissioni doppie, etc. Le prove utilizzate per la diagnosi fanno parte della “Batteria per la valutazione della dislessia e disortografia evolutiva (Sartori, Job e Tressoldi, 1995).

Infine tra i DSA va segnalato il “disturbo specifico del sistema dei numeri e del calcolo”. In questo caso le difficoltà riguardano soprattutto le abilità numeriche di base: conteggio all’indietro, trancodifica di numeri lunghi e complessi e recupero dei fatti aritmetici. Accanto a questi problemi vanno poi menzionati deficit inerenti alle procedure di calcolo. Tra gli strumenti diagnostici per la discalculia va ricordato l’ABCA, test delle abilità di calcolo aritmetico (Lucangeli, Tressoldi, Fiore, 1998).

La prima cosa da tenere a mente quando ci si trova di fronte ad un DSA è che è un problema derivante dalla mancanza di impegno o intelligenza. È molto importante effettuare una diagnosi adeguata e precoce e che questa venga compresa e condivisa dalla famiglia e dalla scuola. Spesso i bambini con DSA vengono rimproverati per le loro difficoltà ed il loro disturbo non trova alcuna legittimazione. Questo può portare a conseguenze serie come: disturbi del comportamento, disturbi emotivi e dispersione scolastica. Per quanto riguarda il trattamento, questo cambia in base alla gravità e all’età in cui viene fatta la diagnosi. In molti casi l’obiettivo non deve essere la guarigione, ma il raggiungimento di un buon grado di autonomia attraverso la compensazione.

Esistono programmi di videoscrittura e di lettura di brani da parte del computer. Soprattutto esistono leggi che tutelano il bambino con DSA all’interno della scuola.

Rotacismo: da dove deriva questo difetto logopedico

Rotacismo

Significato rotacismo: in cosa consiste

Il rotacismo, meglio noto come “erre moscia” o alla francese, è una caratteristica fonetica articolatoria che consiste nella pronuncia del suono /r/ in maniera differente rispetto all’italiano standard: la lingua vibra nella parte posteriore (velo palatino o zona dell’ugola) anziché nella zona palatale alveolare (vicino ai denti), producendo così una fricativa uvulare sonora (anziché una liquida vibrata).

Rotacismo: da quali fattori dipende

Per molte persone il rotacismo risulta un difetto di pronuncia fastidioso o che addirittura condiziona la propria professione. Tale difetto determina infatti un rallentamento dell’eloquio, influenzando così l’aspetto comunicativo del linguaggio. Il rotacismo dipende da diversi fattori: 

  • frenulo linguale corto
  • palato ogivale
  • esposizione a più lingue
  • imitazione inconsapevole di una figura di riferimento
  • ritardo del linguaggio

Dove il suono /r/ viene omesso per difficoltà dell’apice linguale a toccare le rughe palatine (dietro gli incisivi superiori) e quindi a vibrare. Il suono R è infatti una consonante liquida vibrante, ovvero uno “sviluppo” del suono L. Se nello sviluppo del linguaggio il bambino non acquisisce il giusto punto di articolazione, il suono /r/ verrà “spostato” in altri punti di articolazione. Così facendo si genera così una fricativa uvulare sonora (quindi la R moscia), al posto di una liquida vibrata. 

Si può correggere la ‘R moscia’?

Tra le varie competenze del logopedista rientra quella di correggere i difetti di pronuncia, anche quando non si tratta di situazioni patologiche. Tramite un costante lavoro sul rafforzamento del muscolo linguale e uno specifico lavoro sul suono interessato,si può arrivare alla corretta articolazione del suono /r/.

Il trattamento di questo difetto logopedico

Essendo l’articolazione della /r/ particolarmente complessa, è necessario che ci sia una buona padronanza della lingua fino ad ottenere la vibrazione dell’apice linguale contro la parte anteriore del palato duro, vicino agli incisivi superiori. A tale scopo si mette in atto un allenamento prevalentemente “meccanico”, costituito da specifici esercizi che mirano a:  

  • rafforzare il muscolo linguale
  • acquisire maggiore consapevolezza a livello motorio e percettivo
  • favorire il sollevamento dell’apice linguale

Generalmente si inizia dalla produzione del suono L all’interno dei vari gruppi consonantici, per poi passare all’inizio e all’interno di parola. Con un costante e buon allenamento, si otterrà la vibrazione dell’apice linguale a cui seguirà un lavoro di rafforzamento e mantenimento, cercando di generalizzarlo nel parlato quotidiano. Risulta per questo indispensabile la figura del logopedista che, guidando il paziente e dando un proprio “giudizio” esterno, lo aiuta a capire quando l’emissione del suono è corretta e quando non lo sia. 

La respirazione costo-diaframmatica

respirazione costo-diaframmatica

La respirazione costo-diaframmatica può essere considerata come la respirazione naturale e ideale, presente sin dalla nascita. Essa vede il principale coinvolgimento del diaframma, muscolo di forma cupoliforme e appiattita che, posizionato al centro del tronco, divide la cavità toracica (polmoni, cuore) dalla cavità addominale (intestino).

Durante questo tipo di respirazione i polmoni svolgono un ruolo passivo, mentre il diaframma attraverso il moto di contrazione e rilassamento assicura una respirazione corretta e profonda: nella fase dell’inspirazione esso si contrae spostandosi verso il basso, aiutando i polmoni a riempirsi d’aria e dislocando parzialmente i visceri sottostanti in avanti; nella fase dell’espirazione si rilassa, si sposta verso l’alto, comprime i polmoni ed espelle l’aria.

L’espirazione è infatti un processo quasi passivo, di risalita quasi automatica del diaframma.
Nella respirazione costo-diaframmatica dunque sono coinvolti principalmente diaframma e gabbia toracica.
L’avanzare dell’età, pressioni esterne/sociali, situazioni stressanti ed emotive sono fattori che incidono spesso sulla respirazione, modificandola da “naturale e profonda” a “toracica e superficiale”.

Quest’ultima non consente di inglobare tutto l’ossigeno che invece riusciamo ad introdurre utilizzando il diaframma. Il protrarsi di una respirazione scorretta e l’accumulo di tensioni muscolari a livello di spalle, collo, cervicale possono spesso avere ripercussioni sulla voce, alterandola dal punto di vista quantitativo e/o qualitativo. Non solo. La scorretta respirazione può comportare nei bambini disturbi dell’attenzione, quindi basso rendimento scolastico.

La corretta respirazione diaframmatica è quindi fondamentale per l’emissione di una buona voce. Rappresenta infatti il punto di partenza della terapia di ogni disturbo vocale.

Trattamento logopedico

Nel trattamento delle alterazioni della voce parlata e cantata, viene affrontata prima di tutto la respirazione diaframmatica che solitamente favorisce anche un buon rilassamento muscolare.
Una volta acquisita la respirazione diaframmatica, si procede con l’accordo pneumo-fonico, ossia la coordinazione respirazione-voce, dove la vibrazione delle corde vocali avviene senza sforzo. 

 

Vantaggi della respirazione costo-diaframmatica

Grazie alla respirazione diaframmatica otteniamo diversi vantaggi, tra cui:

  •  miglioramento della qualità vocale
  • diminuzione della tensione collo-spalle
  • miglioramento della postura e maggiore allineamento schiena-collo-testa
  •  maggiore consapevolezza della respirazione, quindi maggior controllo su ampiezza, ritmo, durata dell’atto respiratorio

Logopedia computerizzata: le nuove tecniche riabilitative

Logopedia

Dalla tradizione alle nuove tecniche riabilitative: come la logopedia computerizzata in aiuto al trattamento riabilitativo delle patologie del linguaggio.

Dalla tradizione alle nuove tecniche riabilitative nel mondo della logopedia

Era il 14 settembre 1994, quando il Ministero della Sanità regolamentò, attraverso il decreto legge n.742, la logopedia e la figura professionale del logopedista. Da quel momento in poi il logopedista è inquadrato come l’operatore sanitario che svolge attività di prevenzione e trattamento riabilitativo delle patologie del linguaggio. Uno studio applicato sulla comunicazione in età evolutiva, adulta e geriatrica, in termini di educazione e rieducazione.

Con lo scorrere dei decenni tale profilo professionale si è adeguato alle modalità terapeutiche. Il logopedista si è dunque adeguato alle esigenze dettate dall’evoluzione tecnologica e dalla modernità.

Manuali e protocolli didattici rappresentano la base teorica di una scienza che, in questo caso specifico è per lo più applicata e fortemente legata all’esperienza. Quello che sembra essere accaduto durante questi anni nella branca della logopedia è che nonostante il tentativo di adeguarsi all’avanguardia del momento è che ci si sia fossilizzati su una pratica statica e standardizzata ferma di qualche gradino più indietro rispetto ai mezzi e agli strumenti attualmente a disposizione.

Come dovrebbe agire un ottimo logopedista?

Creatività, fantasia e capacità di adattamento si inseriscono, insieme all’empatia e alla tecnica, tra le caratteristiche indispensabili che fanno del logopedista un ottimo professionista. Ciò che però realmente evidenzia l’efficacia di una buona terapia sono i risultati ottenuti e la soddisfazione del paziente.

Nell’immaginario collettivo, nonostante siano passati ormai quasi vent’anni da quel decreto, la figura del logopedista non è ancora accreditata nella maniera corretta. D’altro canto non è semplice individuare il vero elemento di tutto il sistema:

Risiede forse nell’organizzazione formativa e quindi in ambito universitario? Appartiene alla coscienza individuale del terapista e alla sue capacità intuitive? È da ricercare all’interno delle reti sanitarie pubbliche e/o private?

Dati oggettivi dimostrano come gran parte dei trattamenti, indifferentemente dal tipo di patologia considerata, tendono a perdere di vista l’obiettivo finale del piano programmato. Si rischia così di allungarne la durata e i costi.

Sinergia col paziente per arrivare alla miglior terapia possibile

Procedendo in questo modo non si ha la possibilità di verificare l’andamento del lavoro diventa faticoso rintracciare i miglioramenti e confrontarli con la situazione di partenza. Sia il paziente che il terapista continuano a sprecare energie che, il più delle volte, convergono in punti diversi di piani paralleli, senza ottenere minimamente il risultato desiderato.

Così facendo il malcontento si diffonde ma nessuno si ingegna nella ricerca di una scappatoia, piuttosto si tende a scaricare la colpa sul mancato impegno da parte del paziente, nonché sulla poca professionalità del terapista o, ancor peggio, ci si aggrappa a luoghi comuni e dicerie confusionarie.

Eppure gli strumenti, i mezzi e le idee per creare e reagire a nuovi stimoli non dovrebbero mancare a un logopedista, nel 2013. I video presenti su questo sito rappresentano solo una parte della casistica trattata dai professionisti del suddetto studio e sono la dimostrazione oggettiva di quanto una terapia svolta secondo obiettivi ben definiti possa portare al raggiungimento completo degli stessi.

Nuovi principi di base in aiuto alla logopedia

I principi di base che vengono osservati non sono mistici né sovrumani, non si tratta nemmeno di novità rivoluzionarie sorprendenti, ma semplicemente del giusto equilibrio tra multidisciplinarità, confronto, individualizzazione e ottimizzazione di tempi, tecniche riabilitative e strumenti computerizzati.

Supponendo di dover prendere in carico un paziente con una alterazione della voce, l’iter prevedrebbe:

• Raccolta anamnestica.

• Registrazione di un brano di lettura standardizzato, all’interno del quale sono presenti elementi valutativi essenziali per una analisi multi-parametrica della voce.

L’importanza di questo step non si sofferma soltanto sulla possibilità di analizzare le caratteristiche percettive della voce al momento del primo ingresso. Vanno infatti effettuate ulteriori registrazioni dello stesso, con valore di FOLLOW-UP ossia confronto tra lo stato iniziale e l’evolversi dello stato patologico in itinere. Infine tramite una registrazione ultima, determinante la conclusione del trattamento e la prova evidente ed oggettiva del risultato ottenuto.

Questo passaggio viene omesso in gran parte delle strutture che si occupano di riabilitazione. La presenza di prove oggettive confrontabili è infatti un’arma a doppio taglio. Nonostante da un lato si valorizzi il lavoro e la competenza del professionista, dall’altro è segno manifesto di un possibile fallimento. Dato che spesso il peso della sconfitta ha valore maggiore che un lavoro svolto correttamente, si preferisce protrarre a lungo terapie risolvibili in un ciclo regolare.

Esami logopedia: gli strumenti computerizzati 

E’ evidente che ci ritroviamo di fronte a uno di quegli elementi presi in esame prima, motivo di screditamento per l’intera categoria.

Per fare un esempio di strumenti computerizzati c’è lo spettrogramma vocale che analizza il tutto tramite l’esame multidimensionale della voce. Questi esami vengono eseguiti mediante software pensati per la diagnosi e la rieducazione di patologie del linguaggio, mediante strumenti di feedback audio-visivi (tra i migliori diffusi e utilizzati in Italia c’è il “Sona Speech II 3650”). 

Ciò che fa la differenza nell’uso di determinati software è la capacità di personalizzarne l’utilità in base al paziente e alle sue esigenze. Certamente esistono un manuale e un protocollo che indicano per filo e per segno tutti i passi da percorrere, ma l’abilità del terapista sta proprio nell’effettuare una task analysis individuale evitando di agire per tutti allo stesso modo.

Inoltre è fondamentale informare continuamente il paziente attraverso il counseling, renderlo consapevole della sua situazione senza tralasciare alcun passaggio, fino al termine della terapia.

Talvolta, quando si è incerti dell’esito riscontrato, è opportuno richiedere un approfondimento foniatrico che ci permetta di chiarire il quadro diagnostico.

Mediante la “laringostroboscopia”, esame di vecchia adozione ma ormai tralasciato dalla maggior parte degli specialisti, è possibile studiare dettagliatamente ogni istante del ciclo vibratorio cordale e individuare il deficit con una bassissima probabilità di errore. Anche in questo caso la differenza la fa la modalità d’uso di tale strumento. Non è funzionale conservare l’immagine delle CCVV nell’album fotografico del nostro corpo, lo è invece interpretarla per la diagnosi.

 

La disfonia cronica infantile: come combatterla

La disfonia cronica infantile

Disfonia cronica infantile: cosa è e come si combatte

La disfonia cronica infantile è un’alterazione tendenzialmente stabilizzata della qualità della voce.  In appunto, Pazienti in età pediatrica, la disfonia può avere una causa di natura organica o una causa di natura funzionale.
Disturbi della voce stabilizzati, in età pediatrica, non sono rari ed il più delle volte sono sottostimati. Le disfonia disfunzionali, (su base quindi funzionale) in assenza di significative patologie a carico delle corde vocali sono di gran lunga le più frequenti e spesso sottovalutate.

Le disfonie disfunzionali sono principalmente dovute ad un “cattivo uso della voce” da parte del bambino. Come la tendenza ad urlare, ad aumentare frequentemente il tono e volume di emissione vocale per sovrastare gli altri o per frasi sentire in ambienti rumorosi. Lo sforzo vocale, se protratto può determinare alterazioni a carico del timbro vocale che diviene rauco.
Anche gli atteggiamenti vocali dei familiari possono influenzare la gestione vocale del bambino.

L’importanza dell’ambiente familiare nel linguaggio infantile


Infatti in ambienti familiari dove tutti tendono spesso ad “urlare” in bambino
per imitazione tenderà anche lui ad alzare spesso il tono della voce.

Anche atteggiamenti caratteriali del Bambino posso predisporre all’insorgenza di una disfonia cronica infantile. Si è notato, infatti, lo sviluppo di un quadro di disfonia infantile in bambini tendenzialmente iperattivi.

Tra le patologie organiche ricordiamo polipi e noduli vocali. Pertanto in caso di disturbo vocale protratto è necessario rivolgersi ad un Specialista Orl-Foniatra per la valutazione obiettiva della laringe ed esami spettrografici vocali. Una volta diagnosticata un disfonia infantile è necessario avviare il Bambino (dall’età di anni 6 in poi) ad un trattamento riabilitativo Foniatrico-Logopedico specializzato per l’eta’ pediatrica, con ausilio di strumentazione computerizzata. Tra i sistemi computerizzati che usiamo da anni, ricordiamo la Speech Viewer III. Un programma di esercizi molto valido (con grafica molto gradita ai bambini) che consente di fornire un ritorno visivo della produzione verbale e del linguaggio parlato comprendente altezza tonale, emissione sonora,prosodia, configurazioni di temporizzazione,produzione di fonemi sostenuti, forme d’onda, spettri vocali etc.

Equilibrio mimico-vocale: come si gestisce e si controlla

equilibrio mimico-vocale

Per un qualsiasi attore teatrale riuscire a passare dal palcoscenico allo schermo è più difficile di quanto si possa pensare. Una “barriera” dovuta essenzialmente non all’interpretazione del personaggio, quanto piuttosto all’equilibrio mimico-vocale. 

Equilibrio mimico-vocale: come cambia l’interpretazione del personaggio
La differenza sostanziale che persiste tra i diversi set che riguardano la figura dell’attore porta ad un atteggiamento differente. Il tutto è causato principalmente da differenze spazio-dimensionali tra i due ambienti performativi. In sostanza, ciò che accade su un grande palco deve adesso essere riportato in uno spazio ben più piccolo e definito.
Per questo un buon attore deve essere in grado di rivisitare il suo personaggio. Prerogativa imprescindibile è quella di ridimensionare quella teatralità che risulterebbe eccessiva in video e ancor più, in primo piano.

Al di là dell’estetica, la funzionalità di un primo piano è legata alla capacità dell’attore di controllare i “micromovimenti” del volto.
Anatomicamente parte della muscolatura intrinseca della testa è costituita dai muscoli pellicciai, vale a dire da esili “fascetti” muscolari denominati “mimici”. Composti da nervi cranici, la loro sinergia, sia essa intenzionale oppure istintiva, è espressione di momenti emozionali imprescindibili per la comunicazione.
Nello specifico arcate sopraccigliari, zigomi, labbra, lingua e mento, rappresentano quelle strutture che, se mal gestite, possono alterare l’intenzione comunicativa nonché la funzionalità di quell’atto scenico.

Micromovimenti del volto: come deve lavorare un attore
Premettendo che in video ogni movimento è amplificato, l’attore deve effettuare un lavoro di “pulitura degli eccessi” evitando di sovraccaricare momenti scenici. Infatti è mal comune o credenza sbagliata quella di operare in tale maniera con la convinzione di “arrivare” maggiormente al pubblico.
Spesso e volentieri anche la mancata consapevolezza nella gestione dell’organo vocale può creare un dislivello nel messaggio che si vuole comunicare attraverso le parole.

Quali sono le cattive abitudini che portano ad un mancato equilibrio mimico-vocale
Potrebbe sembrare strano come abitudini viziate infantili quali l’uso del succhiotto e del biberon, succhiamento del dito, bruxismo possano aver alterato il funzionamento fisiologico delle strutture implicate. Si rischia così di provocare delle occlusioni dentarie sbagliate, asimmetrie o sincinesie trascinate fino all’età adulta e fortemente evidenti allo schermo.

Un esempio lampante è la celebre “scena dell’assassinio sotto la doccia” del film Psycho di Alfred Hitchcock. Pensiamo quale reazione ci avrebbe suscitato quella scena se l’attrice protagonista, Janet Leigh, avesse perso il controllo del sopracciglio proprio nei secondi del “close up” determinante la sua morte. Proprio per evitare casi di questo genere si evidenzia la necessità di una figura professionale che individui consuetudini scorrette cercando di rimettere ogni tassello al posto giusto.

Equilibrio mimico-vocale: come si raggiunge con la riabilitazione logopedica 
Attraverso la riabilitazione logopedica è possibile educare l’attore a prendere consapevolezza di sé e far si che esso sviluppi un controllo “propriocettivo” tale da rieducare, autonomamente, quei movimenti disfunzionali. Il compromesso perfetto perché si possano raggiungere in breve tempo gli obiettivi prefissati e i risultati desiderati risiede nelle capacità empatiche e professionali del terapista, unite alla dedizione e alla costanza del paziente.
Il successo ottenuto mediante un trattamento finalizzato all’adempimento delle esigenze individuali dell’attore e della sua performance rappresenta un dato oggettivo. Attraverso questo è possibile affermare che esistono terapie “efficaci efficienti ed economiche”.

La terapia 
Presso il nostro studio M2D ogni terapia si concentra su questo concetto e lo identifica come principio primo e fino ultimo del lavoro effettuato. Non a caso la presa in carico di pazienti che operano in campo artistico prevede come step valutativo iniziale, la registrazione audio/ video di un brano di lettura standardizzato secondo parametri definiti.
Ciò è utile a confrontare e verificare la situazione di partenza, intermedia e finale del trattamento. Inoltre funge da oggettiva lente di ingrandimento per il terapista e per il paziente stesso dei cambiamenti e dei progressi ottenuti.